mercoledì 13 agosto 2008

Da Oriago a Fusina

Il nostro viaggio prosegue per Oriago,il cui toponimo sembra discendere da “origo lacus” legato quindi alla presenza di un lago a ridosso della Laguna di Venezia.

Attraversando la predetta Piazza Mercato affianchiamo il naviglio incontrando dapprima
Villa Gradenigo:
Sorge in località Gambarare di Oriago ed è una delle più antiche della Riviera. Fu fatta costruire nel 1529 dalla famiglia Scarpa, di origine bergamasca. Ebbe poi molti altri proprietari e ancora oggi è proprietà privata. Fu "Villa Stella", quindi "Pellegrini-Fossati", ma è conosciuta come Gradenigo (che fu solo affittuario), oggi "Bellemo". Appare come una solida costruzione di mole cubica, tipica dei Palazzi del '500. Durante tale secolo, infatti, le costruzioni che s'affacciano al Canale del Brenta sono chiamati "Ville", ma non per significare una dimora particolarmente lussuosa, bensì una dimora di campagna (da Villico o Villano che era il contadino) cioè un luogo in cui ci si autosostenta, come avviene nei conventi e gli edifici in tale secolo vennero infatti costruiti in funzione del controllo dell'agricoltura e della viticoltura. I nobili proprietari dei terreni si trasferivano da Venezia alla campagna del Brenta solo per brevi periodi, in occasione, per esempio, della mietitura e della vendemmia.
Solo nei secoli successivi l' abitazione venne utilizzata anche per la villeggiatura e per essere adatta alla nuova destinazione d'uso venne abbellita con affreschi, sia internamente che esternamente. E' ripartita su tre livelli. La famiglia del nobile proprietario abitava nel piano di mezzo, chiamato per questo "piano nobile" o anche alla francese "bell'étage", caratterizzato dalla presenza sulla facciata di un terrazzino leggermente aggettante con balaustra in marmo e trifora posteriore che ci indicano la misura della larghezza del "portego", ovverosia di quel grande salone di ricevimento che si sviluppa da una facciata all' altra dell' edificio e che è largo quanto, appunto, il terrazzino esterno. Il pianterreno presenta un salone centrale di pari superficie e stanze laterali.
I locali del sottotetto, adibiti a ripostigli e magazzini, erano chiamati "mezzati" o "mezzanini", perché, come si può dedurre osservando la diversa altezza delle finestre, sono alti circa la metà rispetto a quelli del pianterreno e del primo piano. La villa era un tempo affrescata anche all' esterno con affreschi attribuiti a Benedetto Caliari, fratello di Paolo Veronese. Di essi rimane traccia nelle finte nicchie con statue tra le finestre del piano terra. Dopo la caduta della Serenissima Repubblica, nel corso della dominazione degli Austriaci che imposero tasse molto pesanti sugli immobili di lusso e successivamente dopo l'unificazione del regno d'Italia, gli affreschi vennero fatti coprire con calce per diminuire il valore dell' abitazione. La villa fu anche vittima di una speculazione edilizia che vide l'abbattimento di pareti interne affrescate per realizzare porte e si trovò per molti anni in gravissimo stato di abbandono. Negli anni sessanta venne acquisita dall'Ente per le Ville Venete che provvide ad un radicale restauro.
Sono state recuperate due importanti realizzazioni di Benedetto Caliari, a tema storico, rispettivamente "La magnanimità di Alessandro Magno" ed il "Muzio Scevola" che si trovano a destra e a sinistra della porta d' ingresso, racchiusi tra finti archi ed intercolumni. Nella parte opposta del salone sono decifrabili episodi della mitologia greca: il mito di Orfeo e quello di Atteone. L'ultima stanzetta a sinistra, detta "del Giudizio" presenta scene del Vecchio e Nuovo Testamento in parte danneggiate. Il pavimento è importante, in "terrazzo alla veneziana": gettata unica di terracotta rifinita esternamente a scopo ornamentale con frammenti di marmo e piccole pietre, levigato e lucidato con olio di semi di lino. Autentici del ‘500 le 4 lampade semovibili a destra del salone e l'interessantissima portantina con zampette di leone sistemata in una stanza attigua. All' esterno degna di nota una lampada appesa allo spigolo dell' edificio che apparteneva ad un galeone turco, bottino di guerra di una spedizione veneziana.


Subito dopo troviamo Villa Mocenigo:
Della costruzione settecentesca rimane soltanto l'impianto esterno: la semplice facciata bianca su due piani, arricchita da numerose finestre disposte simmetricamente rispetto al corpo centrale sormontato da un timpano.
Gli interni e il giardino sono stati più volte modificati ed adattati alle diverse destinazioni d'uso dell'edificio (tra le più recenti: scuola media, sede dell'Azienda di Promozione Turistica e, oggi, sede universitaria).


Interessante notare qui come purtroppo il giardino abbia perso completamente il suo aspetto originario.

Proseguendo attraversiamo il ponte mobile di Oriago, ricordando che i ponti mobili sul Naviglio nel comune di Mira sono in tutto 7 ognuno con un sistema diverso di apertura, a volte girevole, scorrevole o altre volte sollevabile, come l'ultimo ponte realizzato in località Valmarana.


Giungiamo ora nella strada principale, la Nazionale, lasciando sulla nostra destra numerose ville, tra cui la notevole Villa Allegri von Ghega:
Un'antica Villa ricca di storia, di memorie e tracce lasciate dai suoi illustri ospiti, quando ancora era adibita a feste e ricevimenti cui partecipavano nobili veneziani che vi giungevano dal Brenta, un tempo prolungamento del Canal Grande.
La Villa, a pianta veneziana, fu costruita agli inizi del '500 dai Conti Allegri di Vughizzolo quale casino domenicale. Agli inizi del '700 la Villa fu modificata nella struttura attuale ed adibito a Casino di gioco e Casino di caccia. La facciata è adorna di statue e dallo stemma nobiliare in pietra.
Gli interni sono decorati a stucco. Circondata da un parco strutturato all'italiana, e costellato da statue, colonne, una vera gotica da pozzo, un arco ed una graziosa adiacenza un tempo adibita a scuderia, conserva numerosi alberi ultrasecolari.
Villa Allegri von Ghega annovera tra i suoi ospiti importanti figure storiche: il Generale Radetzky (da qui comandò nel 1848 l'assedio a Venezia), il Maresciallo napoleonico Louis Frederic Marmont, il Principe d'Arenberg, il musicista Pietro Mascagni e l'avventuriero Giacomo Casanova.
Nell'ottocento fu la residenza dell'Ing. Carl Ritter von Ghega, progettista tra l'altro della ferroria del Semmering in Austria: oggi patrimonio dell'Unesco.
La Villa è ancora oggi abitata dalla famiglia che la fece edificare quasi cinque secoli fa.


Superata la villa incontriamo alla nostra sinistra il cippo di confine,della cui orgine ne abbiamo già parlato.



Arrivando al bivio che ci porta a Malcontenta non possiamo non fermarci ad ammirare la splendida villa:La Malcontenta:la villa che Palladio realizza per i fratelli Nicolò e Alvise Foscari intorno alla fine degli anni ’50 sorge come blocco isolato e privo di annessi agricoli ai margini della Laguna, lungo il fiume Brenta.
Più che come villa-fattoria si configura quindi come residenza suburbana, raggiungibile rapidamente in barca dal centro di Venezia. La famiglia dei committenti è una delle più potenti della città, tanto che la residenza ha un carattere maestoso, quasi regale, sconosciuto a tutte le altre ville palladiane, cui contribuisce la splendida decorazione interna, opera di Battista Franco e Gian Battista Zelotti.
La villa sorge su un alto basamento, che separa il piano nobile dal suolo umido e conferisce magnificenza all’edificio, sollevato su un podio come un tempio antico.
Nella villa convivono motivi derivanti dalla tradizione edilizia lagunare e insieme dall’architettura antica: come a Venezia la facciata principale è rivolta verso l’acqua, ma il pronao e le grandi scalinate hanno a modello il tempietto alle foci del Clitumno, ben noto a Palladio.
Le maestose rampe di accesso gemelle imponevano una sorta di percorso cerimoniale agli ospiti in visita: approdati davanti all’edificio, ascendevano verso il proprietario che li attendeva al centro del pronao. La tradizionale soluzione palladiana di irrigidimento dei fianchi del pronao aggettante tramite tratti di muro viene sacrificata proprio per consentire l’innesto delle scale.
La villa è una dimostrazione particolarmente efficace della maestria palladiana nell’ottenere effetti monumentali utilizzando materiali poveri, essenzialmente mattoni e intonaco.
Come è ben visibile a causa del degrado delle superfici, tutta la villa è in mattoni, colonne comprese (tranne quegli elementi che è più agevole ricavare scolpendo la pietra: basi e capitelli), con un intonaco a marmorino che finge un paramento lapideo a bugnato gentile, sul modello di quello che compare talvolta sulla cella dei templi antichi.
La facciata posteriore è uno degli esiti più alti fra le realizzazioni palladiane, con un sistema di forature che rende leggibile la disposizione interna; si pensi alla parete della grande sala centrale voltata resa pressoché trasparente dalla finestra termale sovrapposta a una trifora.
La leggenda legata a questa villa mi è sempre parsa particolarmente intrigante:secondo la leggenda, la villa deve il nome di Malcontenta a una dama di casa Foscari, relegata tra le sue mura in solitudine per scontare la pena per la sua condotta viziosa. Tuttavia, in realtà il luogo era così soprannominato già dal 1431, per ricordare lo scontento mostrato dagli abitanti di Padova e Piove di Sacco per la costruzione del Naviglio del Brenta.

Il percorso prosegue lungo la strada che porta a Fusina,superando la Chiusa di Moranzani discendendo l'ultimo dislivello d'acqua e poco dopo si arriva di fronte a quella che a me piace definire la finestra su Venezia nel magico scenario della città storica che si offre a noi e dove termina il fantastico viaggio.



Con la speranza nel cuore di avervi anche solo idealmente fatto viaggiare in questa nostra meravigliosa terra, dove l'uomo in passato ha messo mano, ma anche dove la natura conosce il grande mistero e sorride.

Buona estate a tutti e buon tutto!

lunedì 11 agosto 2008

Continuamo per Forte Poerio

A Gambarare da segnalare la chiesa parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista, è una delle più belle della Riviera.

Al suo interno, ottimamente restaurato, un organo costruito dal Callido (1727-1813), il maggior organaro veneto del ‘700, e una lapide con trascritta la bolla papale con cui nel 1508 Giulio II riconosceva all’assemblea dei capifamiglia cattolici il privilegio di scegliere il parroco tra una rosa di nomi proposti dal Patriarca di Venezia, privilegio cessato nel 1998 con la nomina dell’ultimo parroco. Costituita da una sola navata, l’arcipretale termina con un’abside affiancata da due altari. Interessante, a sinistra, la cinquecentesca fonte battesimale e il pulpito sovrastato da affreschi recenti di C.B. Tiozzo. Nella sacrestia sono custoditi due importanti armadi seicenteschi in noce, una deposizione di Gesù, della bottega di Palma il Giovane, e due statue lignee cinquecentesche raffiguranti i Santi Giovanni e Paolo.
Lasciando il Duomo alle spalle ci dirigiamo verso Oriago, affiancando il Forte Poerio.



Il forte fu costruito nel 1909. Armamento principale: Sei cannoni da 149 su cupola corazzata girevole.
Armamento secondario: Quattro cannoni da 75 A su affusto a candeliere con settore di tiro orizzontale di 70°.
Originariamente la sua denominazione ufficiale avrebbe dovuto essere Forte Ponte Damo ma poi fu deciso per Forte Poerio.
Apparteneva alla seconda generazione dei forti della piazza di Venezia
Oramai i progettisti avevano abbandonato la ricerca di linee architettoniche a favore della macchina bellica efficiente in calcestruzzo. La tipologia dell'opera ricalca quelle della piazzaforte del Friuli e di altre opere dell'Altopiano di Asiago



Il nostro percorso prosegue verso il centro di Oriago.









sabato 9 agosto 2008

E il viaggio continua

Proseguiamo il nostro viaggio che Porto Menai ci conduce verso Piazza Vecchia.


Così denominata perchè probabilmente quando nel 1539 fu creato in quella località di Oriago che oggi si chiama Piazza Mercato, divenne giocoforza adottare l'indicazione Piazza Vecchia per la vecchia Piazza di Gambarare ora sostituita dalla nuova.

In questo sito troviamo uno dei Cippi di confine del Dogado.


Nel 1790 i Savi ed Esecutori alle acque ritennero opportuno stabilire una nuova linea di conterminazione per dividere la laguna dalla terraferma, sottoponendo a speciali leggi idrauliche il territorio. Tale linea che chiudeva tutto l'estuario con 99 cippi, perimentrava per 157 km il bacino lagunare. Originariamente in cotto i cippi furono sostituiti, nel corso dell'ottocento con strutture in pietra d'Istria. Hanno altezza che varia da 80, 150,200 cm in relazione alla loro sporgenza dal terreno sottostante.



Altri cippi li troviamo lungo il territorio mirese, nel tratto perimentrale del confine amministarivo (ad es. Oriago via Ghebba o Dogaletto).

Proseguendo arriviamo a Gambarare.



Abbastanza difficile definire con precisazione il riferimento geografico del toponimo, perchè esso da una parte di riferisce all'ampio territorio alle spalle di Venezia, dall'altra ad un attuale centro abitato diverso da quello a cui, forse, originariamente era stato attribuito.
Gambarare è oggi una frazione del comune di Mira con diversi centri abitati, ma nell'antichità, quando il margine della laguna era più arretrato rispetto a quello attuale, il territorio di Gambarare si presentava come un continuo succedersi di barene, isole e valli, in mezzo alle quali il fiume Brenta e Muson avevano le loro foci.
Della nascita di Gambarare si hanno notizie certe solo all'inizio del XIII sec.:distava 16 miglia da Padova, alla quale era congiunta da una strada che proprio li attraversava un ramo del Brenta defluente verso Curano.Gli studiosi pensano che fosse questa la Fossa Gambarara, ricordata in un documento del 819, così chiamata per gli innumerevoli gamberi presenti, da cui trasse poi origine il termine Gambarare.Presente in questo territorio l'abbazia , edificio dipendente da Sant'Ilario.
Oggi purtroppo l'Abbazia è stata trasformata in un progetto in fase esecutiva in abitazioni Ater, come testimonia la dura battaglia del consigliere Morara:

Tratto dal
Il Gazzettino online, Domenica, 6 Novembre 2005
"MIRA L'ex abbazia di piazza Vecchia destinata a case Ater potrebbe contenere i resti di cinque dogiAntonio Tosi



Mira
La millenaria ex Abbazia di Piazza Vecchia a Mira, che verrà presto trasformata in abitazioni Ater, potrebbe ancora contenere i resti mortali di cinque dogi veneziani. Lo afferma il consigliere di Fi Mario Morara, che sostiene di essersi documentato a fondo sulle vicissitudini della struttura nel corso dei secoli. "L'Abbazia viene menzionata nei documenti storici già dall'819 - spiega -, e con essa l'importanza strategica ed economica del territorio di Piazza Vecchia e Gambarare, crocevia per il commercio e l'incontro di genti, con la pesca dei gamberi e l'agricoltura quali attività principali già da qualche secolo. Un territorio in cui per molto tempo si è rispecchiato l'intero popolo di Mira e su cui sono state fondate le basi per il futuro. E l'Abbazia, nel corso degli anni, è diventata sempre più simbolo e punto di riferimento, al punto che cinque dogi veneziani l'hanno scelta come luogo di sepoltura. Il fatto interessante è che non esistono documenti che attestino che le loro spoglie siano state spostate da lì".Per questo Morara rivolge un appello al Comune di Mira e alla Soprintendenza alle Belle Arti di Venezia: "Non si possono cancellare in modo indiscriminato secoli di storia, arte e cultura. Prima di costruire le nuove case Ater andrebbero eseguiti scavi archeologici per verificare se le tombe di quei dogi siano ancora presenti. Inoltre potrebbero emergere altri reperti interessanti. L'Amministrazione non può continuare a cementificare disinteressandosi delle radici e del passato della popolazione che rappresenta".

A tutt'oggi sembra che le spoglie dei 5 dogi veneziani siano da ricercarsi nei prossimi scavi di Sant'Ilario, a Dogaletto, che riprenderanno in primavera.Resta comunque un'importante testimonianza dell'insediamento e sviluppo nel nostro territorio.

Precisazione

Un attento lettore mi segnala quanto segue:

"Affermi: Mi ha sempre incuriosito molto questo edificio. Si tratta della facciata di una chiesa, situata a Porto Menai, lungo la strada bianca che costeggia il canale Novissimo,abbattuta pare a seguito dell'inondazione devastante del '66. Notizie su questo oratorio le puoi trovare in due libri di Mario Poppi: Gambarare e il suo territorio, Dolo 1977 e Religione e popolo a Gambarare, Dolo 1984. In particolare sull’abbattimento: nel primo, alla fine nella parte delle tavole (foto e dati, le tavole non sono numerate, ma la foto che ci riguarda è tra le ultime): nel secondo a p. 344 (qui non c’è la foto, ma interessanti notizie). Da queste pagine puoi apprendere che l’oratorio intitolato alla Trinità, già Bettoni-Grassi, fu abbattuto, esclusa la facciata, nel 1878, “per i gravissimi danni subiti da un’alluvione del Novissimo”. Vedi anche il n. 5 di Rive, p. 63. Evidentemente non c’è niente di nuovo sotto il sole. Apprezzamenti. Un saluto. Erminio Bacchin"

martedì 5 agosto 2008

Viaggio nel territorio

Inizia il mio personale viaggio nel territorio della mia città...si visiteranno ville, giardini, monumenti...alla scoperta degli angoli nascosti e delle meraviglie più o meno note ai molti.

Si parte....

This is what you are - Mario Biondi & The High Five Quintet

La prima località è Porto Menai .Anticamente sede di un importante scalo commerciale. Attualmente attraversato dal canale Novissimo.





Mi ha sempre incuriosito molto questo edificio. Si tratta della facciata di una chiesa, situata a Porto Menai, lungo la strada bianca che costeggia il canale Novissimo,abbattuta pare a seguito dell'innondazione devastante del '66.



Poco distante, in direzione Piazza Vecchia troviamo la ciquecentesca Villa Paluello Minio:




Immersa nel verde della campagna e resa peculiare dalla presenza di una magnifica aia.Nell’edificio si coniugano il fascino della residenza rurale con le preziosità di affreschi attribuiti, fra gli altri, anche a Paolo Veronese. La casa è stata ampliata di un piano nell`Ottocento.Le lunghissime strutture rustiche dipendono dalle necessità connesse alla conduzione del fondo, mentre il parco è di impianto romantico.
Il “giardino romantico” nasce da una visione nuova del giardinaggio fondata sulla concezione, tipicamente romantica, che è bello ciò che suscita emozioni, stimola la fantasia e risveglia le passioni sopite. Il “giardino romantico” è un giardino adatto ai poeti e agli artisti e, più in generale, agli spiriti inquieti, cioè alle persone che amano sperimentare e modificare l’ambiente circostante in funzione dell’umore del momento. Il giardino romantico è anche un luogo di incontri (ma di incontri “segreti”), è un ambiente intimo e nascosto, racchiuso fra alberi e cespugli e circondato da folte siepi, a volte tagliate in forme regolari, ma più spesso lasciate crescere in modo naturale e formate da essenze diverse. Le stesse siepi, talvolta, dividono il giardino in settori assai diversi fra loro, per tipo di piante coltivate e per le sensazioni (visive, odorose o tattili) che riescono a suscitare. Ma a volte il giardino romantico, invece di essere un luogo per sé e per pochi intimi, può diventare una specie di “teatro” dove mettere in scena - attraverso l’esposizione di vasi decorati, archi fioriti, altalene, statue, pergole, voliere, finti ruderi e fontane - la rappresentazione della propria vita o la storia di un grande amore o, più semplicemente (come nel nostro caso), un esempio di giardino inglese dell’Ottocento.


E per mantenere un collegamento col presente, v'invito a visitare il blog di Zuin:
http://www.massimozuin.eu/public/blog/?p=387